Ho bisogno di DORMIRE!!!

•3 giugno 2012 • Lascia un commento

Ultimamente l’angelo della mia vita, la parte migliore di me, la luce della mia esistenza etc etc (oddea sembro Hughes xD)… sta cercando di uccidermi! Di preciso, sta cercando di uccidermi di SONNO!! Non dorme più la notte, perciò mi sento molto zombie.. ci vorrà un bel pò prima che pubblico di nuovo qualcosa.

Soreness

•11 luglio 2010 • Lascia un commento

-Hawkeye, avresti mai immaginato si sarebbe arrivato a tanto?
-No signore, nemmeno nei miei incubi peggiori.

***

Un bambino sui 10 anni aspettava davanti alla porta di una grande casa, tutt’attorno a lui l’edera risaliva sui tralicci che tenevano su quella veranda alquanto decadente, segno che nessuno, negli ultimi anni, si era preso la briga di toglierla per evitare che crescesse tanto. Lo sguardo vagò per tutto il giardino adiacente, rivelando un miscuglio confuso di erbacce, fiori di campagna e vasi rotti.
“Certo che il maestro trascura proprio la sua residenza”.
Sentì un rumore e, voltandosi, vide la porta che si apriva, rivelando una bambina, che ad occhio e croce doveva avere 8 anni, che lo fissava.
-Posso aiutarti? –chiese.
-Si, sono Roy, Roy Mustang. E’ questa la residenza dell’alchimista Hawkeye?
-Si..allora tu sei il suo nuovo allievo. Prego – si allontanò dalla porta – entra pure.
Così il bambino entrò in quel mondo che gli sembrava tanto trascurato, preparandosi a ricevere gli insegnamenti che avrebbero segnato la sua vita.

***

Bang Bang Bang

Rosso, quello ormai era diventato il colore predominante, più ancora del giallo ocra della sabbia, del marrone della terra e dell’azzurro del cielo.

Rosso.

Nient’altro che quello.

Non importava che fosse sangue nemico o amico, o che derivasse dalle fiamme alte che si sprigionavano con un semplice schiocco delle dita. Quelle dita che avevano accarezzato la sua schiena tante volte.

Rosso.

Era questo, e nient’altro.

***

-Roy, no! Non così! Devi focalizzare! Smettila di pensare all’idea di creare! Pensa al cerchio, devi concentrarti su quello!
Un uomo non più giovane cercava di spiegare una cosa a lui semplicissima ad un ragazzino, il quale, dal canto suo, avrebbe voluto dire che quel “semplicissimo” corrispondeva a un enorme sforzo di concentrazione. Certo il fatto di avere un maestro che sbraitava vicino a lui non aiutava!
Questo pensava, ma dalla sua bocca uscì la frase che ormai pronunciava un numero infinito di volte al giorno.
-Si maestro.

-Lascia, ti aiuto.
Detto questo Roy prese il piatto dalle mani di Riza e prese ad asciugarlo con il panno preposto.
-Signor Mustang, dovrebbe passare il tempo a studiare, non aiutandomi con le faccende domestiche.
Replicò la bambina, le maniche della camicia arrotolate fino al gomito, mentre con perizia continuava a lavare e risciacquare i piatti della cena.
-Eddai! Quante volte ti ho detto di chiamarmi Roy, Riza? Almeno quando tuo padre non è presente se hai paura di essere ripresa..
-Io non ho paura di niente! – ribatté accorata la bambina, mentre gli passava, con più forza del previsto, un piatto appena risciacquato.
-Ah ma davvero? Allora che ne dici di una sfida? – chiese Roy.
Uno sguardo perplesso ricambiò quello deciso del ragazzino.
-Questa notte, dopo che il maestro è andato a letto. Ti sfido ad uscire e raggiungere la cima della collina. Io ti aspetterò li. Se non arriverai prima dell’una sarò io il vincitore, in caso contrario avrai vinto tu.
-E cosa ci guadagnerei, signor Mustang? – chiese col suo solito tono la bambina.
-Uhm..fammi pensare. Se vinco io dovrai chiamarmi Roy, se invece vinci tu mi chiamerai signor Mustang e io smetterò di dirti di chiamarmi per nome. Ci stai? – tese la mano per stipulare il patto.
Riza la fissò, indecisa. Alla fine prese una decisione ed afferrò con forza la mano tesa.
-Affare fatto.

***

Uno schiocco, un altro. Delle grida ed è tutto finito.
Vai avanti, verso il prossimo quartiere, sapendo cosa ti aspetta.
Un altro schiocco, un’altra strage.
Vorresti che qualcuno ti fermasse; preghi,si, esatto, preghi che ti succeda qualcosa, qualunque cosa.
Tutto sarebbe meglio di quello che stai facendo, che stai passando ora. Ma nonostante tutto vai avanti. Continui a seguire quegli ordini insensati, strappando vite e pregando che qualcuno strappi la tua.
Uno schiocco.
Per quanto andrà avanti tutto questo?

***

-Sei in ritardo.
Due occhi blu la fissavano dal basso, mentre un enorme sorriso aleggiava sotto di essi.
-Ti sbagli, non è ancora scaduto il tempo. Ho vinto io la scommessa.
Il sorriso continuava a persistere, facendola innervosire. Quel dannato sorriso! Quando lo odiava!
-Sai..faresti meglio a controllare la precisione del tuo orologio. Qualcosa mi dice che è un po’ indietro.
Aggrotta le sopracciglia, non può aver fatto una cosa del genere. Spostare le lancette dell’orologio era scorretto, persino per lui. Forse..
-Hai spostato le lancette? – chiede, solo per conferma. Nel vedere il suo sorriso allargarsi capisce, che stupida era stata.
-Beh.. non avevamo dettato regole mi pare.
Lo fissa, ma lui continua imperterrito. Sa di aver vinto, e lei non può farci niente.
-Va bene Roy. Hai vinto tu. Contento?
Lui la ignora, con la mano le fa cenno di sedersi accanto a lui. Riza lo fa. Tanto ormai non ha più niente da perdere.
Fissano le stelle, una distesa infinita di puntini nel blu scuro del cielo estivo.
-Vorrei che restasse così per sempre. – E’ lui a parlare, lo sguardo fisso, deciso.
Riza lo guarda, ma dentro di sé sente che non sarà così.

***

-Era un tuo commilitone?
-No, un bambino di Ishbar. Gli avevano sparato e poi l’avevano lasciato in mezzo alla strada.
Non piange, non ancora. La colpa che pesa sulle sue spalle troppo pesante per essere ignorata.
-Andiamocene, la guerra è finita.
Lo dice, ma non lo pensa. Continuerà dentro di lui, e lo sa; sa anche che è lo stesso per lei. Non è uno stupido.
-Ho un favore da chiederle, signor Mustang. La prego. Voglio che bruci la mia schiena con le sue fiamme.

Memory of a Past Life

•11 luglio 2010 • Lascia un commento

Il buio è assenza o scarsità di luce, oscurità che avvolge tutto, sfocando il mondo fino a farlo scomparire. Se chiedi ad un bambino cosa sia, la sua risposta sarà mancanza di luce. Se lo chiedi ad un fisico, ti dirà che è una qualità dello spazio.

Se lo chiedi ad Arleen ti dirà è la sua vita.

L’ultimo lampione ritardatario si accese, gettando una luce inquietante sul vicolo, mentre la nebbiolina autunnale si alzava, nascondendo i particolari di quel luogo.

Un gatto si mosse agile, incurante del senso di gelo che regnava in quel posto, saltando da un cartone all’altro, cercando di non bagnarsi nelle pozze d’acqua accumulatesi durante il temporale.

Un lampo solitario divise il cielo in due, distogliendo l’attenzione dell’uomo seduto su un gradino nel vicolo. Il suo sguardo seguì il fulmine, continuando a fissare la vastità della volta celeste sopra la sua testa. Con il diradarsi del temporale cominciavano a vedersi le stelle.

«Stai cercando il paradiso?» una voce alle sue spalle lo fece sussultare, mentre si girava di scatto, pronto a difendersi da eventuali pericoli, un lungo coltello da caccia spuntò tra le mani.

Scansionò ogni centimetro della via, scavando con gli occhi la nebbia ormai fitta, ma non individuò la fonte della voce, benché sapesse già a chi apparteneva.

«Con quello non faresti male nemmeno ad una persona normale, figurarti a me.» Lo canzonò la voce, facendolo voltare nuovamente. Un moto di stizza attraversò il suo volto. Possibile che ogni volta dovesse fare così?

Con accurata lentezza l’uomo si rilassò, rinfoderò l’arma e si voltò di nuovo. Di fronte a lui ora stava un’altra figura, più bassa di almeno una decina di centimetri. Come aveva immaginato, era sempre la stessa storia.

«Di’ un po’, ti diverti vero? Non credi di essere un po’ cresciuta per questi giochetti?»

La figura alzò la testa, mostrando un sorrisetto infantile su quel volto così giovane e innocente. ‘Pensieri pericolosi’ pensò l’uomo, quella ragazza era tutto tranne innocua.

«Allora… ora posso sapere perché hai fatto uscire questo vecchio sacco d’ossa in una notte come questa? Dev’essere qualcosa di importante per averti fatto tornare qui.»

«Entriamo in casa, non vorrei ti prendesse un colpo mentre parliamo.» Detto questo Arleen estrasse una chiave e, saliti i gradini, la infilò nella toppa della vecchia porta.

Entrata accese una luce per il vecchio; a lei, creatura della notte, non serviva.

«Ho trovato le risposte che cercavo da tempo…» la voce le si incrinò, mentre una lacrima rossa le solcava il viso «e avrei bisogno di parlarne con qualcuno.»

Una ragazza correva, lontano dalle urla che sovrastavano qualsiasi rumore alle sue spalle. I capelli lunghi le ondeggiavano sulle spalle, mentre aumentava il ritmo per allontanarsi dall’inferno che si era scatenato. La camicia da notte sventolava, rischiando di farla inciampare ad ogni passo. Corse, e corse ancora, finché le gambe non la tennero più su e si accasciò al suolo, stremata per la corsa e per il terrore che ancora scorreva puro nelle sue vene.

Si portò le ginocchia al petto, mentre con la mente riviveva i minuti precedenti.

La tranquilla serata in famiglia si era trasformata in un orrore, la pace era stata travolta dalla paura, mentre quell’”essere” era comparso dal nulla. Le guardie non lo avevano fermato alla sua entrata nella cittadina, troppo pericoloso fermare uno straniero vestito di tutto punto, con le tasche piene di soldi; avrebbe potuto essere un signorotto locale, e si sa bene che è meglio non inimicarseli. Così era entrato indisturbato, proprio dopo il calare della notte, poco prima che i cancelli chiudessero i battenti. E dopo…

Il dopo è rimasta solo lei a raccontarlo. Ha visto i suoi genitori, le sue sorelle, i suoi vicini venir mangiati uno dopo l’altro, mentre cercava una via di fuga. Per fortuna il cancelletto usato per scendere al fiume si era rotto facilmente sotto la pressione dei suoi colpi, ed era riuscita a scappare, lasciando dietro di se i suoi cari. Si odiava per questo, ma prima di capire cosa aveva fatto si era ritrovata fuori casa, correndo alla ricerca di una via di fuga.

Ora, ferma in quel campo, a malapena nascosta da quel masso così freddo, ripensava all’accaduto e si malediceva. Ma nonostante ciò si sentiva viva, come non lo era mai stata.

Una mano fredda sulla spalla interruppe il flusso dei suoi pensieri. Si pietrificò mentre una voce sentita poco prima le diceva che l’aveva trovata, solo che ora era più dolce, non si sarebbe mai detto che quella voce apparteneva a qualcuno che poco prima aveva ucciso e bevuto il sangue di un intero villaggio.

Si costrinse a voltarsi, almeno se doveva morire l’avrebbe fatto vedendo il suo assassino in volto. Quest’ultimo parve sorpreso, mentre un sorriso divertito gli spuntò sul volto. Si ricordava perfettamente cosa le aveva detto, o quanto l’avevano tormentata quelle parole.

«E così non hai paura di me… ma che coraggiosa ragazzina abbiamo qui.»

E a quel punto aveva fatto un’altra cosa che non si sarebbe mai aspettata da se stessa. Gli aveva risposto.

«Non sono una ragazzina, ho già diciotto anni.» E questo l’aveva fatto ridere, una frase così stupida; ma aveva avuto quell’effetto.

«Così non mi temi, eh piccola?» una conferma. Era questo che voleva, la conferma ad un gioco che lei aveva iniziato. Ma se serviva a farla sopravvivere…

«No, so cosa mi aspetta, e so che non posso cambiarlo, perciò la risposta alla tua domanda è no. Non ti temo, non più ormai.» Lo sguardo fermo, deciso, i suoi occhi fissi sul suo viso, mentre scrutava le ombre che lo avvolgevano.

E poi era successo… chissà che era passato per la testa a quell’essere. Questione di una frazione di secondo e se lo era ritrovato sul collo, che le succhiava la vita. Il torpore cominciò a dilagare per il corpo, rendendolo insensibile. Chiuse gli occhi, almeno avrebbe rivisto i suoi cari.

«Questo è quello che ho scoperto. La sera dopo mi sono svegliata in un sotterraneo, e il resto è storia…»

La voce le tremava un po’, ma non le importava, conosceva quel vecchio da una vita, era stato il suo migliore amico, poi invecchiando era diventato una specie di padre.

«Capisco, mi spiace davvero Arleen… io… non so che altro dire, mi spiace.» Un colpo di tosse lo fece interrompere, mentre Arleen si alzava veloce e lo copriva con una vecchia coperta lì da chissà quanto.

«Non importa. Ormai non posso più fare niente. I morti sono morti, e tali devono restare. Sai.. sono andata a vedere com’è ora il paese… è sempre lo stesso, piccolo, con pochi abitanti, anche se sono passati quasi 400 anni. E… beh… ho fatto una visita in parrocchia… e al cimitero. Ci sono ancora le loro tombe… Ho lasciato dei fiori. Sono stati ignorati per troppo tempo, è ora che qualcuno si prenda cura di ciò che resta di loro.»

Lui la guarda, riesce a vedere il suo dolore, nonostante la maschera perfetta che indossa, la conosce troppo bene oramai.

«E così hai scoperto tutto, l’hai cercato per tutta la tua vita. Che intendi fare ora?» Ha un presentimento e vuole sapere se è così, ma allo stesso tempo ha paura di chiedere. Ha paura della risposta.

«Ora?» un sorriso maligno le increspa il visto giovanile, trasfigurandolo. «Ora inizia la caccia.»

Passare 400 anni nel buio ti rende come lui, potente, affiliato e letale. Una lama a doppio taglio che può ferire anche colui che l’ha creato.

Fuery Knows

•10 luglio 2010 • 1 commento

Non c’erano prove di una relazione tra il colonnello Mustang e la sua sottoposta, il tenente Hawkeye.

Il tenente passava la maggior parte del tempo obbligando il suo superiore a controllare e firmare moduli, aiutandolo dove possibile, inoltre, come sua guardia del corpo, controllava sempre che non ci fosse niente e nessuno di pericoloso che potesse attentare alla vita di Roy Mustang. Sempre al suo fianco era ligia al dovere e lo svolgeva senza preoccuparsi della sua vita.

Il colonnello, dal canto suo, oziava sui suoi moduli, finché un colpo di pistola particolarmente vicino non lo costringeva a riprendere il suo lavoro, a meno che non volesse farlo in un’altra vita. Da dongiovanni qual’era, ogni sera aveva un appuntamento con una donna diversa, tenendo nome e numero di ognuna in quell’agendina desiderata da tutti.

Non c’erano dubbi riguardo la loro relazione; chiunque vi avrebbe confermato che era solo superiore e sottoposta, con lo scopo comune di far avanzare di grado il colonnello.

Ma Fuery sapeva, era stato testimone coi suoi occhi; aveva visto il gioco di sguardi che si svolgeva, le mani accarezzate mentre si passavano i documenti da firmare, la mano tenuta gentilmente sulla schiena di lei mentre entrambi uscivano dall’ufficio a fine giornata, oppure l’umore di Roy quando il tenente l’aveva chiamato con la faccenda di Barry, o quando Gluttony aveva l’aveva attacca..lui c’era.. si Fuery sapeva, ma di sicuro non sarebbe andato a dirlo a nessuno.